Secondo il modello cognitivo dell’hoarding disorder aspetti di deficit nei sistemi di information processing, di attenzione, di memoria, di decision making e di categorizzazione contribuiscono in modo sostanziale al disturbo. E’ facile capirne il razionale. Quando si tratta di gestire la grande quantità di oggetti che l’attuale società ci propone tutte queste abilità sono fondamentali. Pensiamo a cosa facciamo quando mettiamo in ordine quella pila di carte accumulatesi nell’ultimo mese sulla nostra scrivania. Di solito, anche se non esplicitamente, abbiamo un piano su come farlo, abbiamo uno schema più o meno automatico su come classificare le cose e ristabilire l’ordine. Individuiamo una serie di passi necessari per completare il compito, creiamo differenti categorie per ordinare le carte o le assegniamo a categorie già esistenti (documenti, bollette, pubblicità, ecc.), cerchiamo di mantenere un’attenzione continuativa e di gestire gli impulsi che ci distrarrebbero da questo noioso compito, ed infine utilizziamo pesantemente le nostre abilità di decision making considerando alternative, pesandole, e facendo delle scelte su cosa tenere e cosa eliminare. Gli hoarders sembrano essere carenti in una qualche misura su alcune di queste capacità. Proprio a questo proposito uno studio di Grisham et al. apparso su Behaviour & Research Therapy del 2010 (Categorization and Cognitive Deficits in Compulsive Hoarding) ha cercato di valutare se pazienti con Hoarding Disorder manifestassero dei significativi deficit nelle funzioni esecutive e nei compiti di categorizzazione.
Nello specifico il campione di 60 soggetti comprendeva tre gruppi: il primo con diagnosi di sindrome da accumulo, il secondo con diagnosi su un disturbo di asse I (umore / ansia) mentre il terzo era di controllo (soggetti sani). Il metodo prevedeva che tutti i partecipanti completassero alcuni test neuropsicologici, quattro task di categorizzazione ed un self report di misura delle difficoltà cognitive sperimentate nel test (le scale somministrate al campione sono state la ADIS-IV, ADHD-CL, CIR, CFQ, DASS, FIS, OCI-R, SI-R, SUDS e come test neuropsicologici WASI, CANTAB, AGN, CGT, IED, e SOC). La scelta di includere quattro task di categorizzazione è stata guidata dalla necessità di verifica in merito ai risultati incoerenti di alcune ricerche precedenti sui compiti di categorizzazione negli hoarder (Luchian et. al. 22007; Wincze et al. 2007) e prevedeva di categorizzare beni personali vs. non personali e reali vs. loro rappresentazioni su index card.
Risultati
Contrariamente alle ipotesi di partenza, gli accumulatori non hanno ottenuto punteggi significativamente peggiori nella maggior parte dei test neuropsicologici tranne che nel SOC che misura le abilità di pianificazione.
- Non si sono riscontrate differenze tra i tre gruppi sui valori di intelligenza verbale e non verbale (WASI).
- L’aspettativa che vi fossero differenze significative nelle capacità di decision making (misurata dal CGT) e capacità attentive (misurate dall’AGN e dalla IED) non è stata confermata. Anche se in termini di self report gli hoarder riportavano un alto livello di indecisione, sui punteggi di decision making non ottenevano risultati significativamente peggiori degli altri due gruppi. Questa discrepanza non è chiara e le cause potrebbero risiedere sia in aspetti di deficit di memoria sia in una difficoltà selettiva di decisione per i propri oggetti non misurata dalla CGT. Le difficoltà di decision making potrebbero essere legate quindi solo a casi in cui le opzioni siano emozionalmente attivanti o legate a forti e rigide credenze personali. Va detto che da molti la CGT viene considerata un mezzo poco ecologico di valutazione delle capacità decision making e pertanto poco valido nel caso dell’hoarding.
- Al contrario sulle capacità di planning misurate dal SOC il gruppo di accumulatori ha risolto un numero significativamente inferiore di problemi rispetto agli altri due gruppi. Questo è il risultato più interessante che conferma anche l’esperienza clinica che l’aspetto particolarmente deficitario sia la capacità di planning.
In merito ai risultati di categorizzazione vi sono state diverse differenze tra i tre gruppi. Gli accumulatori hanno creato un numero maggiore di categorie rispetto al gruppo di controllo clinico per i propri oggetti sia fisici che rappresentati da index card. Sempre gli accumulatori hanno impiegato molto più tempo che entrambe i gruppi di comparazione a categorizzare oggetti personali e rispetto al gruppo di soggetti sani anche un maggior tempo per categorizzare oggetti non personali o index card personali. Infine gli accumulatori hanno valutato alla SUDS il loro livello di ansia prima e dopo il compito di categorizzazione significativamente più alto rispetto ai due gruppi di comparazione indipendentemente dal tipo di oggetto da categorizzare. L’aspetto di differenza principale riguarda, come già in altri studi il fatto che i beni siano personali o meno. Va considerato che la categorizzazione è un compito complesso e che future ricerche dovranno valutare alla luce delle funzioni esecutive coinvolte anche gli aspetti cognitivi ed emotivi di valutazione delle alternative.

Conclusioni
I risultati di questo studio suggeriscono che gli accumulatori abbiano maggiori difficoltà cognitive nelle attività di planning (misurate dal SOC) e categorizzazione rispetto ad un campione non clinico confermando che alla base delle difficoltà di gestione dei propri beni da parte di molti pazienti ci siano proprio dei deficit delle funzioni esecutive. Dal punto di visto clinico tali evidenze possono avere delle ripercussioni in termini di linee guida di intervento. Il trattamento diretto delle difficoltà di planning e categorizzazione potrebbero alleviare le manifestazioni principali della sindrome. Gli obiettivi terapeutici potrebbero includere allenamenti di pianificazione a lungo termine frammentati in micro obbiettivi. Uno specifico training di categorizzazione inoltre si è dimostrato utile in pazienti con danno cerebrale da trauma e sebbene gli hoarders presentino deficit significativamente minori potrebbe essere utile incorporare forme di training categoriale nel trattamento della sindrome.
Alessandro Marcengo [amarcengo@psicoterapie.pro]
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