
Oggi qui ad Atlanta con Randy Frost e Gail Steketee si è parlato delle ultime opzioni di trattamento dell’hoarding. Si è parlato anche di costi: costi in termini personali, familiari e sociali e per contro costi delle terapie. D’altra parte è noto come il sistema sanitario americano basato sulla previdenza privata sia molto attento a questo tema ed i trattamenti siano sempre valutati per il loro rapporto tra costo affrontato e beneficio prodotto. Personalmente credo che esista anche un’altra semantica di “costo” ovvero in termini di sofferenza data dal disturbo e conseguentemente di “valore” della terapia per ridurre tale sofferenza, entrambe aspetti che considero “inestimabili” e fuori da una logica di diretta proporzionalità. Ma questo è un altro discorso. In questo post vorrei invece più prosaicamente rispondere ad una domanda che spesso ricorre sull’hoarding e che in massima parte può essere ricondotta anche al contesto italiano. Ovvero: “Quanto costa l’hoarding disorder a chi ci convive, alle famiglie, ai servizi, alla società?”. Tantissimo. Le complesse capacità di pianificazione, decisione, categorizzazione che ci permettono di guadagnarci da vivere e di fare fronte ai tanti obblighi che la nostra società impone (arrivare in orario al lavoro, organizzare la giornata, pagare le tasse, le bollette, le assicurazioni, occuparsi della casa, delle riparazioni, della macchina, cucinare, fare il bucato, ecc.) divengono nell’hoarding progressivamente deficitarie determinando spesso uno stato di dissesto finanziario personale prima e familiare poi.
Secondo una ricerca di Tolin et al. dal titolo “The economic and social burden of compulsive hoarding” apparsa su “Psychiatry Research”, citata oggi e basata su dati quantitativi raccolti su 864 hoarders (si tratta di dati raccolti negli Stati Uniti non generalizzabili tout court alla situazione italiana ma comunque verosimili anche per il nostro contesto) gli aspetti di impatto economico (e quindi di costo del problema a livello personale e familiare) sono generati primariamente dalle seguenti aree:
Difficoltà Lavorative: includono la perdita di efficacia dovuta al caos sviluppato negli ambienti di lavoro (inclusa la difficoltà a trovare oggetti, materiali, moduli ecc. necessari a svolgere la propria mansione), la perdita di giornate lavorative, le assenze dovute al disturbo, i ritardi ed i licenziamenti a causa della progressiva incapacità di pianificare e svolgere efficacemente il proprio lavoro .
Rispetto al campione in oggetto i dati di impatto in ambito lavorativo sono decisamente rilevanti:
- Il 5,5 % è stato licenziato a causa del disturbo
- Il 75,1% dichiara difficoltà nel trovare materiali necessari alla mansione
- Il 59,8% dichiara che la maggior parte del proprio spazio di lavoro è stato invaso dal caos
- Il 64,5% dichiara la perdita di almeno un giorno e mezzo di lavoro nel mese precedente a causa del disturbo (dato tra l’latro messa in relazione ad un analoga ricerca fatta su altri disturbi e con un indice significativamente maggiore rispetto a disturbi depressivi, di panico, fobia sociale, abuso di alcol, PTSD, etc. e paragonabile solo agli indici del disturbo bipolare e a quelli delle psicosi schizofreniche.)
Tasse e pagamenti: difficoltà nel gestire entro le scadenze le procedure di pagamento verso istituzioni o privati. Rispetto al campione in oggetto
- il 22% dichiara di non aver completato la dichiarazione dei redditi almeno una volta negli ultimi 5 anni
- il 54,4% dichiara abbastanza/molto difficile gestire qualsiasi tipo di scadenza di pagamento
(N.B . le difficoltà non sono dovute alla mancanza di disponibilità finanziaria)
Aspetti di medicina generale che co-occorrono col disturbo in parte dovuti allo stato di degrado della quotidianità (mancanza di igiene, cattiva alimentazione, etc.). Tutti gli indici sono in grande misura superiori a quelli della popolazione generale e a quelli ottenuti da ricerche fatte su altri disturbi psichiatrici.
Nella ricerca si sono rilevate le seguenti co-occorrenze:
- Obesità: nel 78,3% (BMI >30) del campione
- Malattie respiratorie (asma , etc., ): nel 18, 3% del campione
- Ipertensione: nel 29,3% del campione
- Diabete: nel 11% del campione
- Disturbi autoimmuni: nel 14,7% del campione
- Fibromialgia: nel 11,3% del campione
- Sindrome da fatica cronica: nel 12,2% del campione
E’ facile vedere come mancati guadagni e crescenti spese determinate da multe, sanzioni e spese mediche intervengano primariamente a determinare situazioni di dissesto finanziario. A questi aspetti vanno aggiunti i costi relativi ai comportamenti di acquisizione attiva (presenti in circa l’80% degli hoarders), l’affitto di spazi di stoccaggio (garage, magazzini, etc.) ed infine, come aspetti che subentrano successivamente, i costi indiretti generati dai conflitti innescati dal disturbo (divorzi, separazioni, procedimenti legali, etc.).
Si può parlare di un lento declino che prima erode le risorse finanziare personali attraverso i numerosi aspetti elencati sopra, poi intacca le risorse familiari per il tempo necessario ad esaurirle ed infine i servizi ai quali arrivano situazioni disperate e sempre foriere di ingenti costi di gestione. Anche nel caso le istituzioni si facciano carico di un operazione di bonifica (il costo è in genere nell’ordine delle decine di migliaia di dollari) nel 75% dei casi la situazione si ripresenta di pari gravità nell’arco di 12-18 mesi.
Anche se date le molte variabili non è possibile fare una stima precisa del costo di tutti questi fattori la ricerca suggerisce che il costo per persona di questo disturbo sia maggiore rispetto a quasi tutti gli altri disturbi psichiatrici e questo nei casi più gravi e con una lunga deriva di malattia non diagnosticata determino per la collettività costi ingentissimi in termini di pressione sul sistema sanitario e sociale.
E in Italia? Ad oggi non esiste alcun dato o ricerca in questo senso ma l’esperienza clinica suggerisce che il tipo di percorso relativo al dissesto economico sia esattamente lo stesso. Lo scenario verso il quale ci si sta muovendo è orientato alla diagnosi precoce e a trattamenti che intervengano prima che questo ciclo abbia preso il via. In questo modo è possibile contenere i costi terapeutici che tuttavia risultano in termini puramente economici sempre a favore della terapia in qualsiasi fase del disturbo. Basta in effetti comparare l’ordine di grandezza di costi indotti da spese legali, accertamenti fiscali, o ristrutturazioni edilizie senza neanche entrare nel merito di inabilità ancora più radicali e che non toccano solo l’ambito economico, quali la capacità di mantenere il proprio matrimonio, la custodia dei figli o una posizione lavorativa per comprendere come un trattamento specialistico sia un aspetto che non va valutato nel suo costo immediato ma nel quadro generale di arresto delle “perdite”. Ricollegandomi al pensiero iniziale sul “valore” di una terapia rispetto al “costo” della sofferenza credo che molto più semplicemente non ci sia bisogno di scomodare troppi numeri per vederne la “convenienza” sottolineando la necessità di interventi di diagnosi e trattamento precoce in grado di salvaguardare non solo gli aspetti economici ma anche quelli di relazione che spesso risultano fortemente compromessi dal disturbo.
Alessandro Marcengo [amarcengo@psicoterapie.pro]
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