Dal 31 Luglio al 2 agosto nella bella cornice del porto di Boston si è svolta la ventiduesima edizione della OCD Conference evento annuale della International OCD Foundation in collaborazione con il McLean OCDInstitute affiliato alla Harward Medical School. Un avvenimento abbastanza particolare nel calendario delle conferenze legate al disturbo ossessivo-compulsivo. Come da tradizione nei giorni precedenti la conferenza è possibile fare un po’ di confronto clinico partecipando a sessioni di training riservate a temi emergenti, supervisioni in piccoli gruppi e terapie di gruppo in veste di osservatori. A partire da venerdì inizia invece la conferenza vera e propria. L’edizione di quest’anno si caratterizza sicuramente per un afflusso particolarmente importante, più di 1700 partecipanti colonizzano per tre giorni il Westin Waterfront di Boston. Il format è molto particolare, convergono infatti presentazioni di stampo accademico sui più recenti temi di ricerca e clinica vicino ad altre di matrice più divulgativa a beneficio dei numerosi non-specialisti (familiari, pazienti, operatori sociali, etc.) la cui partecipazione è motivata dall’interesse a capire di più su aspetti specifici del disturbo, sul ruolo dei familiari, sulle prospettive della ricerca. Si tratta infatti di un evento pensato come occasione di scambio che avvicina il mondo della ricerca, della clinica e dei pazienti in momenti di dialogo attivo caratterizzati da un’atmosfera particolarmente vivace e positiva. Sebbene partecipi regolarmente all’OCD Conference il mio occhio “europeo” resta sempre incuriosito ed intrigato da questo modello, del quale a volte mi interrogo in merito all’ esportabilità: per tre giorni è possibile vedere volti noti nella ricerca chiacchierare da Starbucks con famiglie di pazienti, pazienti in trattamento fare domande interessanti legate al loro punto di vista durante le sessioni, ex pazienti condividere la propria esperienza di cura, testimonial più o meno famosi raccontare la loro personale battaglia contro il DOC (quest’anno è stato Clint Malarchuk, un noto campione di Hockey, a condividere la propria storia di vita legata al DOC prima e al PTSD poi).
Venendo ai contenuti di carattere scientifico, molti gli spunti interessanti. Ovviamente l’ERP come protocollo d’elezione rappresenta un po’ il sottofondo di tutta la conferenza. Su questa base condivisa, numerosissime le declinazioni, le ottimizzazioni, gli adattamenti, gli sviluppi, le cautele, i miglioramenti proposti in relazione principalmente alle complicazioni che spesso insorgono nel trattamento, legate cioè ai pazienti non-responder, ai problemi indotti dalle comorbilità, ai disturbi satelliti del DOC sui quali in particolare dirò qualcosa più avanti. L’ERP è oggetto anche del Keynote di Michelle Craske del UCLA Anxiety Disorders Research Center che riesce a fare uno speech di un’ora e mezza (“The application ofinhibitory Learning and Inhibitory Regulation to Exposure Therapy”) interessante ed originale persino su un tema tanto consolidato e condiviso. Partendo dalle classiche considerazioni sulle percentuali di non-responder all’ERP, spiega come dalla ricerca di base su estinzione e regolazione emotiva sia possibile ricavare numerose strategie per migliorare il tasso di risposta all’ERP. Una dozzina le strategie presentate che vanno dallo spacing progressivo tra sessioni di esposizione, alla violazione delle aspettative, alla variabilità e sommatoria degli stimoli. Lo scopo dello speech non è tanto di introdurre nuove technicalitiesquanto piuttosto di motivare e spiegare i meccanismi alla base di molti aspetti di conduzione e potenziamento dell’ERP che molti clinici già applicano in virtù della propria esperienza. Approfondire cioè la comprensione dei processi attraverso i quali avviene il miglioramento. Un esempio fra tutti è dato dall’interessante bibliografia sugli studi di affect labeling che supportano il potente ruolo della narrazione emotiva anche e soprattutto durante l’ERP. Su questa base ERP alcune aree mi sembrano quest’anno spiccare per salienza e numero di contributi, provo a riassumerle sotto.
Numerosi gli interventi che spiegano come l’introduzione dell’ACT (Acceptance and Committment Therapy) vicino all’approccio standard ERP si dimostri efficace (a volte necessario) soprattutto nei casi complessi. L’evoluzione che introduce aspetti legati al focus della terza ondata sui processi risulta abbastanza pervasiva trovando d’altra parte la sua radice relativa al DOC nel notissimo Brain Lock di Schwartz.
Molto attuali ed interessanti le sessioni sui disturbi correlati al DOC che necessitano di un approccio terapeutico specifico, alcuni cenni:
- lo Skin Picking (Disturbo da Escoriazione) insieme al Hair Pulling (Tricotillomania) sono i principali rappresentanti dei cosiddetti Body-Focused Repetitive Behavior (BFRB) disturbi con un carattere impulsivo e gratificante e caratteristiche tutto sommato piuttosto diverse da un DOC. Tra gli altri viene illustrato il protocollo SCAMP che identifica ed interviene a neutralizzare gli specifici trigger somatici, cognitivi, emotivi, motori e contestuali
- il Body Dismorphic Disorder (Disturbo di Dimorfismo Corporeo) emerge dagli interventi come un disturbo tanto sottovalutato quanto complesso e invalidante (impressionante il tasso di correlazione con ideazione suicidaria – secondo Sabine Wilhelm della Harward Medical School addirittura il 75%). Seppur ancora poco diagnosticato i primi studi epidemiologici indicano una prevalenza del 2,4% nella popolazione generale. Il paziente tipico arriva in seduta in genere per depressione con scarso insight sull’aspetto generativo sottostante legato al BDD. Il tema tipico del disgusto DOC viene declinato per questi pazienti in una dimensione di self-disgust
- sulla Sindrome di Tourette attraente l’ipotesi che la avvicina ad un doc classico, due facce della stessa medaglia. In questo modello una sorta di discomfort somatico agirebbe da ossessione e i tic motori/vocali da compulsione. Ne deriva un specifico modello di trattamento
- singolari alcuni interventi su aspetti di Sensory Defensiveness abbastanza invalidanti e frequenti nella pratica clinica di chi lavora con pazienti DOC seppur decisamente poco conosciuti. Si tratta di quell’insieme risposte fortemente avversive che molti pazienti provano in relazione a particolari stimoli tattili (es. abbracci, senso di bagnato, etc.), gustativi (es. particolari cibi, consistenze, etc.), visivi (es. luci fluorescenti, parti anatomiche, etc.), olfattivi (es. odore di sigarette, di particolari sostanze, etc.) e sonori (es. masticazione altrui, ronzio di alcuni elettrodomestici, etc.). In particolare quest’ultima categoria è conosciuta talvolta anche come Misofonia. Vari gli esempi di applicazione ERP
Dalla consolidata track sull’Hoarding (Disturbo da accumulo) gli aggiornamenti di ricerca evidenziano:
- uno studio di Kiara Timpano che partendo dal consolidato ruolo del trauma e dello stress esistenziale sulla genesi del comportamento di accumulo (e probabilmente sulla genesi dei deficit delle funzioni esecutive) ne evidenzia delle caratteristiche di peculiarità specifica negli accumulatori. Quella famosa “staratura” di cui si parla spesso
- un contributo su un protocollo di trenta sedute di TMS (Transcranial Magnetic Stimulation) che farebbe passare i pazienti da un valore 4 ad un valore 2 sulla scala CIR. Non è chiaro se in realtà la TMS agisca su aspetti depressivi per i quali tra l’altro lo strumento è approvato dalla FDA. Lo stesso Frost commentando l’intervento si chiede quanto possa esserci di effetto placebo nell’utilizzo di queste metodologie
- un modello di coinvolgimento dei familiari (FAM – Family as Motivators) finalizzato ad accelerare l’avanzamento dell’accumulatore rispetto alla fase di pre-contemplation senza fine tipica degli hoarders non-doc
- un modello (CREST) per pazienti geriatrici che abbina riabilitazione cognitiva (sulle funzioni esecutive sempre deficitarie in questi pazienti) ed ERP.
Molti altri sono i contributi interessanti sul tema dell’Hoarding sui quali mi riservo di scrivere un report ad hoc.
Infine seguo sempre con interesse alcune sessioni sui PANDAS/PANS, un disturbo neuropsichiatrico caratterizzato principalmente da sintomi DOC che dà luogo a numerose misdiagnosi. Vale forse la pena ricordare di cosa si tratta. PANS è l’acronimo di Pediatric Acute-onset Neuropsychiatric Syndrome, una sindrome spesso associata ad un eziologia infettiva. Si parla di PANDAS quando in particolare l’infezione è streptococcica (gruppo A). A seguito di tale infezione si sviluppa una condizione auto immune che compromette il normale funzionamento neurologico del paziente pediatrico risultando in un esordio improvviso ed esplosivo, letteralmente “dalla sera alla mattina”, di gravi sintomi ossessivo compulsivi spesso accompagnati da tic motori (tale esordio si manifesta in genere tra i 4 e i 7 anni). I PANDAS/PANS spesso si accompagnano ad una varietà di altri sintomi come anoressia, restrizioni alimentari, ansia, irritabilità, iperattività, disturbi del sonno, instabilità emotiva. Il trattamento è ovviamente di tipo antibiotico. E’ facile capire come il tema qui sia quello del facile errore diagnostico. In moltissimi bambini questo esordio viene interpretato erroneamente in chiave psichiatrica con conseguente trattamento farmacologico o talvolta addirittura ricondotto a una dimensione puramente familiare-relazionale da gestire in psicoterapia. I PANS sono un buon esempio di come la matrice prettamente biologica del disturbo sia sempre da valutare attentamente eventualmente richiedendo gli approfondimenti diagnostici del caso.
In conclusione una nota generale. Il DOC ha ormai in ambito cognitivo comportamentale un corpus più che consolidato di conoscenze, modelli di intervento evidence-based e tecniche specifiche. Quello che mi è sembrato emergere come punto aperto anche da questa ventiduesima edizione credo possa riferirsi essenzialmente ai non-responder. Molte le repliche possibili: la comorbilità, i falsi DOC, il trauma più o meno complesso. Tutto sommato la sensazione è che ci sia qualcosa di ulteriore, qualcosa che a livello teorico vada ancora compreso nell’essenza del disturbo e nel rapporto di causa ed effetto tra le sue complesse componenti integrabile in un modello maggiormente capace di spiegare aspetti ad oggi solo intuiti.
Alessandro Marcengo [amarcengo@psicoterapie.pro]