Quest’anno la conferenza annuale della OCD Foundation, si è svolta a San Francisco presso il Marriot Marquis comoda location vicino ad Union Square. Come da molti anni ormai la tendenza di questo particolare evento continua ad essere in crescita totalizzando quest’anno 1721 partecipanti di vari paesi. Si tratta di un evento in ogni caso di matrice strettamente anglosassone con le peculiarità culturali caratteristiche che si declinano anche in termini terapeutici. L’aspetto di contaminazione forse per me di maggior interesse è il contatto con con ricerche ed approcci estremamente specialistici e settoriali come è caratteristico di questa tradizione. La matrice è ovviamente CBT direi con particolare riferimento al cognitivismo standard e i successivi sviluppi di terza ondata.
Il format è sempre molto interessante, da molti anni frequento la OCD Conference è la presenza accanto allo stream accademico di presentazioni di una importante componente di famiglie, adolescenti, bambini, che si confrontano quotidianamente con il DOC e sono interessate a capire, a confrontarsi, a parlare, a domandare, a creare gruppi di sostegno reciproco, è sempre una dimensione molto emozionante della conferenza. Tra l’altro questo aspetto di condivisione franca senza timori di stigma è di per se terapeutico ed appare cosi differente da quell’atteggiamento di vergogna, paura e giudizio sociale che occupandomi di DOC quasi sempre rilevo in ciò che gravita dentro e fuori dai miei pazienti. Proprio in virtù di questo pubblico eterogeneo pur essendoci 9 track contemporanee, ogni intervento si colloca in flussi che possono essere seguiti in virtù della difficoltà (da speech di facile accesso per i pazienti, fino ad interventi di alto livello per addetti ai lavori) oppure legati a specifici disturbi (OCD, HD, BDD, etc.). Sempre presenti i maggiori centri di ricerca in USA che presentano a volte in anteprima ricerche in corso e non ancora pubblicate, andando a memoria ricordo quest’anno interventi da parte di Standford , UCLA, Boston University, e innumerevoli altri. Di particolare interesse anche la presenza di grossi centri clinici con illustrazione di approcci terapeutici e casi complessi , tra questi Rogers Behavioural Health Massachussetts General Hospital, McLean OCDInstitute, etc.
Quest’anno in pre-conference è interessante partecipare ad una giornata di workshop su condizioni di ossessività relative a temi non tradizionali del DOC e che come tali pur rimanendo nella sfera di una paternità incerta, possono essere trattati con successo con lo stesso tipo di approccio. Il proposito di quest training avanzato per terapeuti è l’elaborazione di una strategia terapeutica per il trattamento di preoccupazioni ossessive circa i suoni (Misofonia) gli odori (OFS – Olfactory Reference Syndrome) e le relazioni (Gelosia Ossessiva). In ciascun caso vengono presentai casi clinici e discussi punti di similarità e di distinzione rispetto al trattamento del DOC.
Nei giorni successivi di conferenza è un susseguirsi impegnativo di interventi, casi clinici, laboratori, networking, dalle 8 di mattina alle 8 di sera di cui traccerò in modo del tutto parziale e più per salienza mnemonica che per rappresentatività del tema alcune suggestioni che mi porto a casa da questi giorni a San Francisco.
Un importante tema è quello del DOC post-partum, è noto in letteratura come uno degli eventi di scompenso che con maggior frequenza determinano l’emergere di un DOC a volte già presente ma solo in forma subclinica è il parto. Questo materia è da sempre per me di particolare interesse sia perché spesso oggetto di errata diagnosi (i contenuti vertono spesso sulla paura di nuocere al nascituro o al neonato e come tali possono essere male interpretati dal terapeuta non preparato ad affrontare una diagnosi differenziale) sia perché per la mia esperienza è molto comune. A questo riguardo mi sembra opportuno quindi ritagliargli uno spazio dedicato che potete trovare qui.
Un ulteriore aspetto interessante è come sia relativamente frequente, e anche la mia esperienza lo conferma, che vicino al DOC si sia sviluppato come aspetto secondario ma a questo punto non meno importante una dipendenza da sostanze con funzione ansiolitica (cannabis, alcol, etc.). La ricerca ci dice anche che questi pazienti sono più complessi e dobbiamo considerare che quando quando ci troviamo di fronte un DOC che co-occorre con una dipendenza in una buona percentuale dobbiamo considerare la possibilità che il DOC sia prodromico allo sviluppo di un disturbo maggiore, come ad esempio una sindrome bipolare.
Si è poi parlato della sempre controversa relazione con la psicosi. Mi sembra qui interessante mettere a fuoco senza andare a riprendere tutte le considerazioni sullo specificatore di insight come sia stato concettualizzato un “DOC Delirante” caratterizzato da una certa fissità del tema, nel quale sono assenti allucinazioni o disordini di pensiero e che si presenta vicino a manifestazioni di Dismorfismo Corporeo e Anoressia Nervosa e che costituirebbe più del 5% della popolazione, ingravescente e caratterizzato da isolamento sociale. Si tratta di un sottotipo di DOC o di una manifestazione di altro disturbo, forse maggiore? Questo tipo di “DOC Delirante” non può essere considerato di per se un disturbo delirante (il DSM V in riferimento disturbo delirante nella parte E considera la diagnosi possibile solo se il delirio non è attribuibile a sostanze, altre condizioni mediche, Dsiturbo Ossessivo Compulsivo o Disturbo da Dimorfismo Corporeo). Ovviamente resta possibile la comorbilità. Non può altresì rientrare nel dominio della Schizofrenia in quanto questa non è definita dal semplice delirio ma da disorganizzazione in assenza di un disturbo dell’umore. Il delirio non è patognomonico, cioè caratteristico al punto da permettere la diagnosi certa. Inoltre una grossa parte dei casi in cui si presentano sintomi DOC in pazienti schizofrenici si osserva anche che questi si sono sviluppati a valle della diagnosi schizofrenia di e non a monte. L’idea del “DOC Delirante” non è probabilmente risolutiva, ma per il momento mantiene un suo interesse.
Un altro tema interessante è stato l’approfondimento delle possibili opzioni terapeutiche per quella classe di ossessioni legate ad un tema religioso sia di “tipo 1” (fortemente egodistonico ed intrusivo nelle quali la persona prova un forte disgusto all’idea di un contenuto blasfemo che si possa presentare alla sua mente o una forte preoccupazione di poter poter avere un agito come ad esempio la bestemmia) sia di “tipo 2” (una forma più insidiosa, nella quale la neutralizzazione prende la strada ruminativa, caratterizzata da incessanti dubbi nella quale la persona non coglie una netta cesura rispetto alle ossessioni ma si chiede costantemente se quello che sta facendo, dicendo, pensando ricade nel giusto o nello sbagliato alla luce delle conseguenze che questo potrebbe avere su quello che è lo scopo minacciato: la salvezza eterna). Come è noto questo tipo di declinazione del DOC (soprattutto la seconda) è di complicata gestione, tutte le leve a disposizione del clinico, ristrutturazione cognitiva, interventi di accettazione, esposizione e prevenzione della risposta sono per ovvi motivi ridimensionati nella loro portata. Interessanti le linee guida fornite ed interessante il ruolo della Mindfulness questa volta con particolare riferimento alla dimensione valoriale consapevolizzata dalla Mindfulness.
Ultimo ma non da meno, un’interessante tavola rotonda sul futuro del Disturbo Ossessivo Compulsivo. Come sappiamo i disturbi psichiatrici si declinano diversamente attraverso le generazioni, le epoche, le culture. Non può essere diversamente anche per il DOC. A questo proposito alcune riflessioni su come la cultura e la tecnologia abbiano influenzato alcune nuove paure è stata espressa a proposito di disturbi che hanno un confine incerto e di non chiara collocazione. In particolare si è parlato di Ortoressia, un disturbo in cui sembra esserci un ossessione per una certa qualità o provenienza del cibo con caratteristiche però abbastanza egosintoniche tali da farlo assomigliare di più ad un disturbo alimentare e di Infomania, nuovamente un disturbo “moderno” legato alla continua necessità di controllare ad esempio i propri social media. Anche in questo caso il confine è incerto a cavallo tra impulsività e compulsività con declinazioni spesso piuttosto importanti. La tavola rotonda ha posto infine l’attenzione sulla nota questione relativa all’inadeguatezza di un sistema nosologico nel quale molte manifestazioni restano di difficile collocazione laddove sarebbe finalmente utile lo sviluppo di un vero sistema dimensionale.
Porto a casa come sempre la ricchezza dei contenuti, delle prospettive a volte originali a volte innovative ma soprattutto dei molti casi incontrati ricchi di spunti di riflessione e vicino a questo l’impressione che la Mindfulness stia sempre di più diventando uno strumento costantemente presente ed integrato nelle terapie oltreoceano. Ci vediamo nel 2019.