A metà Luglio sarò ad Atlanta per un training specifico sull’Hoarding con Randy Frost responsabile dell’Hoarding Center dell’IOCDF. Il training è organizzato a margine della consueta OCD Conference, l’evento della International OCD Foundation che annualmente si propone di diffondere le ultime linee di ricerca sul DOC e sui Disturbi dello Spettro Ossessivo Compulsivo e di permettere l’incontro tra pazienti, gruppi di supporto e specialisti.
A testimoniare l’interesse che si è sviluppato recentemente sul tema quest’anno ci sarà per la prima volta una track di due giorni interamente dedicata all’Hoarding Disorder con gli aggiornamenti sui filoni di ricerca, gli ultimi dati epidemiologici e gli sviluppi metodologici di trattamento più recenti. In particolare sull’ultimo punto pubblicherò qualche post (a partire da questo sugli approcci terapeutici basati sul gruppo).
Attualmente per trattare l’Hording Disorder grazie ai buoni risultati che ha dato in numerosi trial clinici il trattamento di elezione è sostanzialmente una forma di Terapia Cognitiva Comportamentale individuale ritagliata specificamente per il disturbo e “protocollata” da Frost e Steketee. Vi sono però alcuni problemi nella proposizione su vasta scala di questo approccio terapeutico che si possono raggruppare intorno ad alcuni temi: la complessità che coinvolge équipe multidisciplinari in setting parzialmente a domicilio, i costi e la rarità di terapeuti con formazione specifica.
Vari i tentativi che hanno di volta in volta indirizzato questi temi cercando di ridurne l’impatto.
Una delle prime strade tentate è stata quella della terapia di gruppo CBT indirizzata a ridurre l’esigenza di équipe strutturate ed i costi di terapia. In particolare due studi (Muroff et.al. 2009 e Grisham et. al. 2011) hanno ottenuto percentuali di riduzione alla SR-I tra il 22% e il 27%. Nel primo caso il trial era strutturato in 16 sedute collettive con solo due visite individuali domiciliari mentre nel secondo, in 20 sedute collettive senza visite domiciliari. Nel 2012 nuovamente Muroff ha messo a punto un disegno sperimentale che confrontava tre gruppi: il primo intraprendeva un percorso di 20 sedute di terapia di gruppo CBT, il secondo lo stesso percorso ma con 4 visite domiciliari individuali, mentre il terzo faceva un percorso autonomo di “biblioterapia” basato sul manuale di auto-aiuto di Tolin “Buried in Treasures”. I primi due gruppi hanno ottenuto dei discreti risultati in termini di riduzione del punteggio alla SI-R (-23/30%) mentre il terzo gruppo, quello che sostanzialmente usava solo il manuale di auto-aiuto non ha mostrato miglioramenti significativi.
Altri approcci che hanno cercato di indirizzare sia il problema dei costi che quello della “rarità” di terapeuti con preparazione specifica sul disturbo ma con risultati non troppo incoraggianti sono state le sperimentazioni di terapia mediata attraverso internet (sostanzialmente una forma di auto-aiuto con un grado maggiore di interattività) ed i gruppi condotti da ex accumulatori brevemente formati. Sebbene queste strade possano essere considerate “meglio che niente”, soprattutto in casi di limitate risorse economiche o lontananza geografica dai centri di competenza, ancora non possiamo parlare di valide alternative al trattamento individuale.
Al contrario uno degli interventi ad Atlanta che mi interesserà seguire con particolare attenzione è la presentazione dei risultati di una metodologia di gruppo messa a punto sulla base degli studi di Muroff citati sopra e che sembra possa cominciare ad essere un alternativa credibile in termini di costi e localizzazione.

Si tratta del BIT Workshop (BIT sta per “Buried in Treasures” che si può più o meno tradurre con “sepolti tra i tesori”) ovvero un programma di trattamento di gruppo della durata di 13 settimane che costruito sul manuale di auto-aiuto di Tolin utilizza il gruppo non come sede di trattamento Cognitivo Comportamentale ma piuttosto come luogo di mantenimento del focus sul percorso di auto-aiuto (questo ne fa automaticamente un protocollo estendibile ad un numero maggiore di terapeuti che hanno a questo punto solo la necessità di formarsi come facilitatori dello specifico programma).
In alcuni studi iniziali del 2012 sugli outcome del BIT Workshop i risultati sembrano analoghi rispetto a terapie di gruppo CBT con una riduzione all’SI-R del 25-27%, ed una percentuale del 70% di miglioramento significativo rispetto allo stato di caos degli spazi vitali. Risultati quindi paragonabili ad altri trial di trattamento in gruppo CBT ma con una durata nettamente minore (13 anziché 20 settimane) e il supporto di terapeuti meno specifici, quindi più facilmente reperibili. Lo studio in oggetto per il suo carattere di novità ha ovviamente dei punti deboli relativi alla limitatezza del campione (53 soggetti divisi tra BTI workshop e gruppo di controllo) alla mancanza di dati di follow-up e ad uno sbilanciamento verso il genere femminile con buona scolarità. Tutti questi aspetti ne riducono la generalizzabilità ed è per questo che sarà interessante sentire ad Atlanta gli ultimi sviluppi su questa linea di ricerca.
Personalmente sono sempre un po’ scettico sull’esportabilità culturale di questi formati di matrice molto anglosassone anche se la dimensione del gruppo come supporto costante al percorso mirato può in questo caso (a mio avviso integrata da elementi di CBT di gruppo) essere una strada interessante anche per noi. L’ostacolo attualmente più rilevante alla sua applicazione in Italia mi sembra piuttosto lo scarso riconoscimento del quale il disturbo ancora soffre nel nostro paese e che ad oggi non genererebbe un numero di richieste di trattamento sufficienti a motivare lo sviluppo di gruppi di terapia localizzati.
Alessandro Marcengo [amarcengo@psicoterapie.pro]
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